Noi sempre pensiamo che pensare sia la più specifica e nobile delle caratteristiche umane. “cogito ergo sum” penso, dunque sono pensava Cartesio…
E così noi su questo concetto, che cioè siamo “di più” perché pensiamo, abbiamo costruito la nostra storia e la nostra civiltà.
E così, come sempre succede quando una cosa diventa consolidata, condivisa, popolare, il nostro pensare è diventato una cosa “indiscutibile”. Ma, e questo va ben compreso, la nostra millenaria conoscenza, costruita nei secoli, mattone dopo mattone nella scienza, nella filosofia, nella politica e nella sociologia, non ci ha portato ad una cosa semplice semplice: la pace e la felicità. Abbiamo auto, case tecnologiche, computers, smartphones, aerei supersonici, esplorazione spaziale, medicina avanzata, chirurgia estetica, robot….ma non abbiamo la felicità.
Perché? Perché tutto il nostro pensare non ha saputo portare la felicità nella vita delle persone?
Semplice. Perché non è il pensare che lo porta.
Ma, oltre a quest’ovvietà, non riusciamo ad andare. Non riusciamo a capire come mai con tutta la nostra intelligenza che è davvero tanta, con tutta la nostra esperienza, che è ormai millenaria, non riusciamo ad uscire dalla sofferenza e dal dolore interiore.
Il punto è che abbiamo eletto, ben prima di Cartesio, il pensiero a nostro vero Dio. Noi concepiamo il pensiero come la cosa più elevata e somma che possediamo e di cui disponiamo. Il trono del pensiero non si tocca, non si discute.
Ma forse dobbiamo cominciare a mettere in discussione questa “verità”.
Quando pensiamo, cosa stiamo facendo in effetti? Stiamo seguendo una serie di frasi che si susseguono una dopo l’altra ed ognuna di queste frasi ha un suo significato, un suo “sema”, cioè si dice che hanno una semantica. Bene. Noi seguiamo una serie di pensieri che hanno una semantica, cioè un significato.
Ma, poiché noi “pensiamo” attraverso il linguaggio, noi consideriamo “vere” tutte le “parole” che pensiamo.
E accade così che se pensiamo che una cosa non va bene, noi “crediamo” che quella cosa non va bene. Non facciamo differenza tra ciò che processiamo con la mente e la verità di quello che processiamo.
Allo stesso modo se processiamo un pensiero che dice che invece quell’altra cosa “va bene” noi la prendiamo per vera e crederemo che quella cosa “va bene”.
In parole semplici: noi crediamo ciecamente a ciò che la mente ci propone.
Accade quindi che se pensiamo che una cosa “va bene”, siamo contenti, se invece pensiamo che una cosa “non va bene” siamo tristi. Ma in effetti siamo noi a decidere cosa mettere nel “va bene” e nel “non va bene”. Ma notate bene che noi potremmo anche decidere che se avviene una cosa potremmo scegliere che indipendentemente da cosa avviene, potremmo metterla nella casella del “va bene” sempre e comunque. Se così facessimo non avremmo la categoria in cui mettere il “non va bene” e saremmo sempre contenti. Così facendo rinunceremmo ad un bel po’ del nostro “pensare”, semplificando di molto il nostro “ragionare”.
Ma potremmo fare anche di più.
Potremmo decidere che possiamo essere felici a prescindere da cosa ci potrà accadere, non posizionando il nostro concetto di felicità dentro alcuna condizione posta a priori.
(Sergio Davanzo – EDA personal Coaching)